La mia casa a Damasco by Darke Diana

La mia casa a Damasco by Darke Diana

autore:Darke, Diana [Darke, Diana]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


12.

Il compimento e il fido custode

Il mio pane è cotto, la mia brocca è piena.

Proverbio arabo

Il restauro di Bait Barudi richiese tre anni ma finalmente, nell’estate 2008, giunse al termine. Non riuscivo a crederci.

La casa era magnifica non perché sembrasse nuova, ma per il motivo opposto. «Questo posto è antico» avevo detto all’inizio a Bassim. «E voglio che si veda». Lui capì cosa intendevo e così, laddove molte delle case ristrutturate della Città Vecchia sembravano di recente costruzione, entrando nella mia avevi la sensazione che gli inquilini dei secoli lontani se ne fossero appena andati. Era esattamente ciò che avevo in mente, si vedevano ancora le crepe nelle mura di pietra del cortile e qua e là mancavano dei pezzi nelle decorazioni sopra le porte.

Tutto ciò che doveva essere nuovo lo era: le tubature, l’impianto elettrico e quello idraulico, il riscaldamento, i cavi telefonici e le prese tv. Quanto al resto, io e Bassim avevamo usato materiali di recupero, andando a cercarli anche nei depositi di inerti. Alleggerimmo il tetto, togliendo il parapetto di muratura dalla terrazza e sostituendolo con un ringhiera traforata che avevamo trovato nella parte abbandonata del cortile derelitto, un prodotto artigianale di rara bellezza.

Per quanto riguarda accessori come lampade e maniglie, o l’arredo di bagno e cucina, scoprii che esisteva una vera e propria gerarchia basata sulla nazionalità: i migliori e più costosi erano tedeschi o italiani. Bassim sapeva che desideravo mettere in casa prodotti locali, ma mi consigliò di non badare a spese per quanto riguardava cose come i rubinetti e la caldaia. «La roba siriana o iraniana costa meno» mi disse, «ma le darà sempre dei problemi». Però scoprii con gioia che c’erano ancora dei fabbri che producevano lampade di metallo di ogni forma e dimensione a prezzi incredibilmente onesti. Per l’iwan scelsi una gigantesca lampada da moschea che stava a pennello in quello spazio, ma se avessi voluto, avrei potuto farne fare una su misura dal fabbro sotto casa. Scoprii che le maniglie migliori venivano da Egitto e Arabia Saudita e che la Turchia produceva ottime pentole e stoviglie. I suk della Città Vecchia offrivano un’ampia scelta di suppellettili, grazie all’abilità degli artigiani locali e agli intensi scambi commerciali con i paesi vicini. Oggi la gamma si è ristretta, si vedono in prevalenza prodotti siriani, accanto a quelli iraniani e russi. L’economia di guerra ha preso il sopravvento.

Volevo mobili semplici ma non ne trovai nei centri commerciali nati per soddisfare l’insaziabile consumismo dei quartieri benestanti come Ya‘fur, dove i nuovi ricchi vivevano in ville stile Dubai, una più volgare dell’altra. Era tutto ultramoderno o decorato in modo pacchiano. Alla fine Bassim disegnò per me tavoli e armadi e li fece costruire a un prezzo irrisorio da un falegname dietro l’angolo. Quanto alle piastrelle, in città se ne producevano ancora, nelle tinte tradizionali, azzurro, verde, turchese e nero su fondo bianco, e un giorno, curiosando nel retro di una polverosa bottega della Città Vecchia, scovai meravigliosi pannelli di ceramica da inserire sulle pareti, in cucina e nei bagni.



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